corsa, famiglia, mamma, running, sogni

Come si prepara una maratona, se sei una mamma?

Bella domanda.

Si potrebbe scrivere un libro e, sul tema, ce ne sono davvero parecchi. Ma forse non così specifici se sei una mamma, perché fondamentalmente credo che ognuna debba essere in grado di scrivere il “proprio” libro.

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E questo è il primo consiglio che ti lascio: redigere il diario di viaggio che ti accompagnerà in questa preparazione. Un diario in cui scrivere i punti fondamentali in cui andrai a suddividere i lavori (i tuoi allenamenti), i risultati raggiunti, le eventuali gare/competizioni da programmare e soprattutto le sensazioni provate.

Se decidi di correre una maratona, dovresti già essere una runner di passione. Quindi avere qualche chilometro nelle gambe (meglio se ti sei già cimentata sulla mezza distanza dei 21 km), oltre ad avere un buon motivo che ti spinge a cimentarti in questa distanza. Per quanto mi riguarda, l’ho fatto come regalo a me stessa per i miei 40 anni e per una scommessa con mio figlio Riccardo, a cui volevo dimostrare che “se vuoi, puoi”, in un momento in cui lui ne aveva davvero bisogno.

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La motivazione è fondamentale: ci saranno momenti in cui ti chiederai “perché???”, altri in cui ti sentirai stanca, demotivata, e tentata a mollare tutto. Sarà in quei momenti in cui avrai maggiore bisogno del tuo stimolo.

TABELLA ALLENAMENTI

Ti suggerisco di affidarti ad un allenatore, esperto del settore, che possa aiutarti a conoscere le tue potenzialità, ma anche i tuoi limiti. Che sappia farti una programmazione ad hoc, per evitare infortuni e altri eventuali problemi. Se questo non è possibile, allora ti suggerisco di cercare tabelle di allenamento on line, possibilmente già testate, redatte da ex atleti o coach, che possano darti una programmazione settimanale.

E comincia a capire come suddividere i tuoi impegni tra lavoro/casa/famiglia, perché la cosa di cui avrai più bisogno è TEMPO per allenarti. Senza di esso, non è fattibile, perché questa preparazione richiede di fare le cose con calma e con una certa ripetitività. Soprattutto nei week end.

Personalmente, ho sempre suddiviso la settimana in questo modo:

Lunedì: lento rigenerante, 10 o 12 km. Oppure riposo se la domenica precedente hai fatto un lavoro molto impegnativo.

Mercoledì: ripetute o lavori in salita.

Venerdì: lavori in fartlek (servono per aumentare la velocità in soglia aerobica, con accelerazioni intervallate a tratti con corsa lenta, per recuperare). Oppure lavori in progressione di velocità.

Sabato/domenica: corse lunghe, da fare in progressione di km, partendo da 18 fino ad arrivare a 32-35. Queste distanze servono per avvicinarti il più possibile alla distanza regina, così da capire che ce la puoi fare, oltre a prepararti al “cosa ti aspetta” nel percorrere distanza così lunghe.

Nei prossimi post, vedremo altri punti importanti da scrivere sul tuo diario e che sono alla base di una buona preparazione per il tuo corpo, ma soprattutto per la tua testa. Quello che stai per affrontare è un viaggio, bellissimo ma faticoso.

Continua a seguirmi, se ti va, e se hai domande o temi che vorresti approfondire, scrivimelo qui sotto!

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corsa, ForKidsForLife, running

Vi presento il #TeamRamo

Finalmente, ci siamo.

Con grande onore e affetto vi presento le mie amiche Runners che correranno la staffetta a Milano per Forkidsforlife, con Make a Wish Italia.

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Da parte mia un infinito GRAZIE per aver accolto il mio invito, per il vostro entusiasmo e perchè so già che spaccherete!

Venite a sostenerle durante la loro frazione!

Milano, 8 aprile 2018, dalle ore 9.30.

amicizia, corsa, eventi, fitnesszone, ForKidsForLife, running, solidarietà

Due desideri per FKFL a Milano

Anche quest’anno siamo pronti per partire con l’organizzazione delle staffette per l’imminente Maratona di Milano, in programma domenica 8 aprile 2018.

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Come sempre, Annalisa e Alessandro, i co-founders di ForKidsForLife, hanno ricercato una Onlus che ci permetta di contribuire a realizzare grandi sogni.

Ed effettivamente ci sono riusciti. Abbiamo due grandi desideri da realizzare:

  • quello di Marco, 15 anni, affetto da tumore osseo, che sogna di trascorrere qualche momento nella natura più incontaminata alla scoperta di foreste e animali in via di estinzione;
  • quello di Valentina, 10 anni, affetta da leucemia, che desidera trascorrere qualche giorno nel magico mondo Disney dove tutto è bello e colorato.

Non c’è molto da aggiungere. Make-a-Wish Italia ci aspetta!

Se ti piace correre, se vorresti correre una maratona ma non te la senti di affrontare la lunga distanza, se vuoi conoscere nuovi amici, se vuoi entrare a far parte della nostra famiglia di Ambasciatori colorati e se vuoi aiutare Marco e Valentina, allora scrivimi e ti spiego come fare.

Corri con noi. E vieni a vivere una esperienza divertente e indimenticabile.

Servono SOLO #cuoreegambe!

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corsa, running

Un anno fa, i miei 40km alla Maratona di Roma!

 

Un buon risultato è fare il meglio possibile.
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Sono qui. Griglia C, con il mio braccialetto e il pettorale verde. L’atmosfera è surreale: sembra essere una splendida giornata, poche nuvole sopra la testa e un’arietta fresca che mi fa venire la pelle d’oca. Intorno a me, ammiro le meraviglie di Roma: il Colosseo (che mi fa vibrare il cuore), i Fori Imperiali (che mi fanno già sognare l’arrivo). Poi, lì davanti, tantissimi atleti, quelli forti, quelli che la maratona se la sbranano in poco più di ore.

Parte l’Inno di Mameli e mi commuovo. Chiamo mia mamma e le faccio sentire le note che mi circondano, per regalarle qualche istante di questa immensa magia. Respiro forte, la mente vola, e cerco di stare tranquilla, senza avere paura di quello che mi aspetta.
Dopo la presentazione dei Top Runners, tra cui Alex Zanardi e Giorgio Calcaterra, parte la prima onda. Manca poco. Respiro forte. Parte anche la seconda. Count down, tocca alla mia. Ci siamo. 3, 2, 1… VIA!

Il ritmo è abbastanza veloce: vengo travolta da tantissimi runners colorati che corrono al mio passo, quello di quando ero in forma a Firenze. Ma questa volta è diverso: dopo una intensa preparazione a gennaio e febbraio, la mia gambetta sinistra ha dato i primi segni di cedimento. E il mese di marzo è passato veloce senza riuscire a rispettare la tabella del #CoachTower e senza fare tutti i lunghi prefissati. Non sono pronta per questa maratona, ma non volevo rinunciare.
Da qualche parte, fra un paio d’ore, spero di incrociare mio marito e i miei bimbi, che mi hanno accompagnata in questa splendida avventura. Non posso non partire. Non posso mollare. Loro sono e saranno la mia forza.

Passiamo il Circo Massimo e fin da subito la corsa è rallegrata dalla musica delle bande, dal tifo ai bordi delle strade e dalle prime battute dei runners romani.
[“Daje regà, che il grosso l’avemo fatto!” – seguono improperi vari e motivati – “Aooo, almeno semo partiti!”]

Bellissimo il passaggio sul ponte Settimia Spizzichino…
[“Aò, nun c’avemo nulla da invidià a Niu IoK. Pure il ponte c’avemo. Ma che volete de’ più??”]

Il gruppo iniziale comincia a diradarsi, mi sembra che tutti vadano velocissimo. Cerco il mio passo, più lento, devo contenermi per non morire alla fine. Ma vorrei andare, lasciare libere le gambe di girare. Mi aggrego ai Peacers delle 4 ore e passiamo l’Isola Tiberina, dove il tifo è tanto e forte. Leggo un cartello “Dajeeeeeeeeee” che ritroverò altre volte, lungo tutto il percorso. Che forti questi romani!

Mi sento bene, le gamba tiene, i tape stanno facendo il loro dovere. Il fiato è ok, le spalle sono rilassate, i piedi appoggiano regolari.
Siamo quasi al 18° ma arriva la crisi. Nella testa un pensiero fisso: ma davvero pensi di arrivare al traguardo, con il poco allenamento fatto? Guarda che forse è meglio se torni alla realtà, perché da qui in poi sarà dura.
Ma dopo pochi metri, li vedo. Eccoli. I miei tesori! Li tocco, li bacio, li ringrazio e riparto. Con il cuore a mille, le lacrime che scendono spontanee e la testa leggera, senza quel pensiero brutto. E si entra in via Della Conciliazione. Alzo gli occhi e davanti a me, sua maestà, la Basilica di San Pietro, che ci accoglie a braccia aperte, e sembra proteggerci per tutto questo pezzo. Pazzesco. Anche qui il tifo internazionale è immenso.
Corri, Ramo’, corri. Dai che siamo a metà. Guardo il Garmin e ho lo stesso tempo dei primi 21k della maratona di Firenze. Incredibile. E penso che fino a qui sono arrivata. Ora usiamo la testa.

Fa caldo, caldissimo. Fino ad ora ho fatto tutti i ristori e spugnaggi. Dalla mezza al 30° km ho subito un po’ il paesaggio: di questo pezzo non ho ricordi molto lucidi. Mi affido ai consigli e agli incitamenti dei Peacers. Uno mi affianca e dice di conoscermi: gli ricordo che abbiamo corso un pezzo di lungo al Parco di Monza, organizzato da Renzo Barbugian. Sicuramente il passo è più lento e avverto il bisogno di fermarmi a un bagno chimico. Perdo così i palloncini rosa. Ora sono “sola”, e devo lasciare spazio al cuore.
Arrivo al 35° e ho setissima: prendo una bottiglietta e me la porto fino al 40°.
Ritrovo i miei al 36°, in Piazza Navona, ma capisco dallo sguardo sconsolato dei miei bimbi che non devo essere un bello spettacolo. Sono stanca, le gambe tutto sommato reggono, ma i piedi sono doloranti. Sono stanca, cavolo. E mi mancano tutti quei km che avrei dovuto fare e mi sono persa.
Però sono arrivata fino a qui. Non guardo più il Garmin, che oggi mi è nemico. Manca poco, è quasi fatta. Non devo mollare. Intorno a me, anche i maratoneti più vivaci, si sono placati. Ci si affianca, si scambiano sguardi, il silenzio ci accompagna.
Arrivo in Piazza Loreto e so che mi stanno aspettando. “Vai mamiiiiii, è finitaaaaa!”.
Vado, vado. E dopo la curva di Piazza Venezia vedo il traguardo. Porcaccia quanto è bello. Le gambe vanno da sole, fortunatamente è tutta discesa. Ecco perché gli ultimi due km volano.

È finita. Il tempo è ben oltre a quello “sognato” all’inizio della preparazione. Ma non importa. Oggi ho una medaglia stupenda al collo. Davanti a me il Colosseo. Il monumento che più è piaciuto ai miei bimbi. E con il pensiero e con il cuore, ringrazio tutti coloro che in questi mesi mi sono stati accanto e mi hanno incoraggiata.
Alla fine le mie amiche maratonete Giorgia e Ilaria avevano ragione: Roma è Roma. E se vuoi correre una maratona, questa è la Regina per eccellenza.

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In corsa verso la Milano Marathon…

Corsa e Amicizia: un binomio che ha stravolto il mio modo di essere una Runner. Io, che ho sempre visto la corsa come uno sport individuale, perché la corsa è effettivamente, in primis, “contro se stessi”. Perché quando correvo seriamente, era difficile trovare Amiche vere, quando in gara si era rivali. [E di quegli anni, mi sono rimaste davvero pochissime amiche, che ho ritrovato attraverso i Social Network].

Ma può diventare anche uno sport di squadra. La presenza di un amico con cui condividere un allenamento può essere fondamentale e può fare la differenza, soprattutto se si tratta di un amico che ti motiva, che non ti fa mollare e che ti fa passare piacevolmente quelle ore di fatica.

Il bello della corsa è che a volte, questa passione, ti accomuna a persone che mai avresti potuto conoscere in altre situazioni, e ha un potere unico: sentire un’affinità immediata, con chi ignoravi poco prima di correrci assieme.

Qualche mese fa, la mia Amica Serena che corre con me le staffette di FKFL ormai da anni, ha un’idea bellissima, me la propone e in pochi istanti tutto si materializza. Da quell’idea nasce anche un sogno: correre insieme una maratona.

Sono sincera: sono anni che corro da sola, così solo per tenermi un po’ in forma e fare qualche competitiva. Sempre gli stessi km, sempre lo stesso ritmo, sempre il solito percorso. Sempre la solita solitudine del runner. E la cosa cominciava a pesarmi. Consapevole che la preparazione di questa maratona sarebbe stata più “forzata” delle precedenti, ho pensato che avrei potuto coinvolgere in questa nuova avventura anche altri Runners. Penso a Romina ed Efrem. Che hanno accettato subito senza esitazione.

E così partiamo con la preparazione: allenamenti in solitudine durante la settimana, lunghi programmati da correre insieme nel week end.

Serena ha scritto un post bellissimo sul perché, domenica 2 aprile, correremo la Milano Marathon con Forkidsforlife e Aismel.

Ve lo riporto e vi invito a riflettere.

Hai presente quei giorni d’inverno in cui fa molto freddo e guardando fuori dalla finestra non si vede nulla perché i vetri sono appannati? Che magari è mattina presto e il termometro dice che ci sono pochissimi gradi, mentre dentro il riscaldamento è già acceso?Gli occhi intravedono delle luci, delle sagome, dei colori, ma nulla è completamente chiaro. Si percepisce la sensazione di freddo, i suoni di fuori arrivano come ovattati. Senti i brividi. Sai che devi uscire, così ti decidi e facendo scorrere la mano sul vetro si apre una nuova prospettiva che rende tutto un po’ più chiaro e rassicurante. Sapere cosa c’è fuori ti fa sentire pronto, che tanto se piove prendi l’ombrello, se nevica metti gli stivali, se c’è nebbia parti qualche minuto prima da casa così non farai tardi. I nostri giorni d’inverno sono cominciati quando abbiamo scoperto che il nostro piccolo Pietro era nato con un’ ugola bifida e che il deficit uditivo riscontrato al test di screening fatto a 20 gg di vita, era tale da non permettergli di sentire le nostre voci. Ipoacusia, ovvero sordità. Eravamo spaventati e non sapevamo da dove cominciare e a chi rivolgerci. Perché non sapevamo nulla di otoemissioni, di ABR, di test audiometrici comportamentali, impianti cocleari e quando i medici parlavano guardavamo dal vetro e non vedevamo niente. Solo sagome. Mentre lui, il nostro Amore piccolo, guardava le nostre bocche e non sentiva nemmeno una parola delle ninne nanne che gli cantavamo. E noi che prima di sapere, lo chiamavamo scherzosamente Severino!
Perché non rideva mai e stava sempre con la fronte aggrottata… Poi però da quel vetro abbiamo iniziato a intravedere delle luci anche noi. Alcune forti, altre deboli.
Medici che associavano la sua ipoacusia a quella bellissima ugola bifida, che ve lo giuro era un cuoricino così perfetto che sembrava proprio quello che disegnavo quando spiegavo a Sofia che nel mio pancione c’era anche il cuore del suo fratellino. Come poteva quell’ugola “difettosa” impedirgli di sentire? Passavamo le nostre serate sui motori di ricerca, ma che l’ugola bifida potesse causare la sordità non c’era scritto da nessuna parte. Non me le ricordo nemmeno le facce di tutti i medici che abbiamo interpellato per capire. Ma ricordo perfettamente che le nostre domande erano chiare e semplici. Tanto che, chi ci doveva delle risposte sembrava spesso infastidito da questi due genitori che prima di arrivare in ospedale googolavano come pazzi e si annotavano tutte le cose da chiedere su dei foglietti volanti. Ma non si può certo dire che nessuno c’abbia dato delle spiegazioni, alcune valide altre davvero fantascientifiche. La questione era che Pietro doveva essere operato per alcuni medici e non per forza per altri. Che l’operazione comunque non garantiva il recupero dell’udito. Che l’otorino e il chirurgo non è che fossero poi completamente allineati sul da farsi. Che dovevamo aspettare gli 8/12 mesi perché l’emorragia in un neonato può essere fatale. Che stava a noi osservare la sua crescita e accertarci che fosse capace di fare quello che facevano i suoi coetanei. Quindi lallare, soffiare la prima candelina, alimentarsi senza rigurgiti nasali, soffiare le bolle, non avere apnee notturne e parlare. Che tu quel bambino l’hai portato in grembo per 9 mesi e tutto vorresti, fuorché vederlo chiudere gli occhi ed essere portato in sala operatoria. Che tu sei genitore e vuoi il meglio, ma quel meglio che desideri non sempre è scritto nella letteratura scientifica a cui ovviamente i medici si riferiscono. Che te ne freghi dei protocolli, perché il tuo bambino non è un numero e non è solo casistica. Che dentro ai camici bianchi cerchi professionalità ma anche e sopratutto umanità. Che vorresti sentirti libera di fare mille domande e sapere tutto di quello che succederà, e non sentirti stupida e sprovveduta. E poi desideri trovare la forza e il coraggio di prendere una decisione della quale non dovrai mai pentirti. Ma tutto questo tu genitore non puoi farlo completamente da solo!!! SCORDATELO! Devi trovare qualcuno che ti prenda per mano e che ti accompagni verso la strada della chiarezza. E chi se ne importa se non sai subito cosa prevede la tecnica di ricostruzione palatale secondo Mulliken e muscolare secondo Skoog.
Saprai dopo che chi ti ha dato questo dettaglio sa esattamente cosa fare e come fare per arrivare a un risultato. Il migliore per tuo figlio.
E noi, mamma, papà e Pietro, abbiamo trovato delle risposte solo quando siamo arrivati a conoscere una realtà fatta di bambini, famiglie, medici, volontari e professionisti che tutti insieme hanno
creato una rete di informazioni e scambio di esperienze e opinioni così fitta, da contare oggi oltre 3000 famiglie, una Onlus – AISMEL – che interviene sul territorio nazionale, un gruppo Facebook attivo 24h, una squadra di consulenti per l’allattamento (progetto AllatTIAMO)
E bambini, tanti, belli e con un sorriso che ti arriva dritto al cuore. Come la luce che fanno i loro occhi.
Sono bambini dal sorriso speciale, alcuni lo chiamano il sorriso ricucito.
Noi li abbiamo conosciuti tutti personalmente e virtualmente nel corso di questi 3 anni trascorsi da quando siamo arrivati in punta di piedi sul sito di Aismel e prima ancora su quello di una persona che tantissime famiglie portano nel cuore. Si tratta di Luciano Albonetti, fondatore del gruppo/sito infolabiopalatoschisi.it, nonché consigliere dell’Onlus sopracitata.
Ed è per lui che oggi racconto la nostra esperienza con il solo fine di raggiungere tutte quelle famiglie e quei bambini che trovandosi catapultati nel mondo della lps, brancolano nel buio come abbiamo fatto noi per oltre 3 anni in cerca di qualcuno che ci facesse luce.
Perché il mio debito con la sorte lo voglio saldare così, facendomi portavoce di una verità che non tutti sanno e vogliono ammettere.
Ovvero che per curare la labiopalatoschisi esistono centri specializzati e centri che non lo sono affatto.
Che non bisogna preoccuparsi solo del fattore estetico o di quello funzionale. Bisogna trovare dei medici che sappiano dare il miglior risultato su entrambi i fronti.
Che un bambino con labiopalatoschisi può essere allattato al seno.
Che non basta la fama di un medico per sentirsi al sicuro e nel posto giusto.
Che ci sono grossi centri ospedalieri dove si fa la metà di quello che si riesce a fare un strutture più piccole e sottodimensionate.
Che esistono medici che sanno sorridere ai bambini tanto quanto ai genitori. Perché sanno benissimo come ti senti dietro quella porta della sala operatoria. Sanno quali sono le tue paure e non risparmiano parole affinché tu possa sentirti un pochino più sollevata.
Dottori che rivedi tutti gli anni con lo stesso entusiasmo di quando vai a trovare gli amici del mare.Tutto questo noi l’abbiamo trovato a Pisa, con AISMEL e l’equipe dell’ospedale Santa Chiara: Il Dottor Gatti, il Dottor Giacomina e la Dottoressa Kuppers.
E ho deciso di raccontarlo oggi perché in questo giorno si celebra l’amore, che non è solo quello che lega due innamorati, ma è anche l’amore per la vita. Quello che ti esplode dentro quando pensi a tutta la tua vita, da che sei nato fino al presente. L’amore che i bambini ricevono dai loro genitori fin da quando sono solo una lineetta rosa su uno stick di plastica. Quell’amore di cui si nutriranno per tutta la vita e che farà di loro uomini e donne unici.
L’amore e la passione che certi professionisti mettono nel loro lavoro. La vedi negli occhi, nelle mani e la ricevi da semplici gesti che ti fanno sentire grato.
L’amore come quello di un papà come Luciano, che per la sua Irene e per tutti i bimbi con labiopalatoschisi, spende il suo tempo libero a rispondere a email, telefonate, post, domande, appellidi genitori terribilmente spaventati e disorientati.
Lo faccio per celebrare l’amore che provo per mio marito Bruno che mi tiene per mano da 19 anni. Il miglior compagno di viaggio che potessi desiderare e trovare.
E per ringraziare tutte le persone che per caso, per fortuna o per volere di chi ci ama, ogni giorno si mettono sul mio cammino e su quello della mia famiglia.
E poi l’amore che spinge i genitori ad affrontare battaglie e guerre faticose, senza mai chinare la testa o dirsi stanchi e sconfitti.
L’amore per la corsa che ti fa sentire capace di trasformare una fatica in qualcosa di buono per gli altri, i bambini per esempio.
L’amore che è il motore delle cose belle. Quelle che ci auguriamo ogni giorno e che vorremmo lasciare a chi verrà dopo di noi.”

[Serena Noto – Ambasciatrice di ForKidsForLife e Mamma di Pietro]

Se vi va, ovviamente, di unirvi, citofonate, che abbiamo sempre bisogno di Ambasciatori, che abbiano voglia di conoscere nuovi Amici e correre in allegria.